Menu Chiudi

Il divieto di patti successori

I patti successori sono nulli, e quindi anche se sono stati conclusi, non dovranno essere osservati dalle parti. Nel linguaggio giuridico il termine nullità significa che ci troviamo di fronte a un atto che non produce effetti ed è di
conseguenza inefficace.
Detto in altri termini, la successione o è testamentaria o è legittima: non si possono stringere patti o accordi con gli eredi.

Il riferimento legislativo è l’art. 458 del Codice Civile che disciplina:

  • la nullità di ogni convenzione con cui taluno dispone della propria successione;
  • la nuliltà di ogni atto con il quale taluno dispone dei diritti che gli posso spettare su una successione non ancora aperta;
  • la nullità di ogni atto che dispone la rinuncia a tali diritti.

Si distinguono tre categorie di patti successori, come vediamo in seguito.

  • Istitutivi, che concernono l’istituzione di erede. Un soggetto dispone dei diritti rientranti nella propria successione, concludendo con il futuro erede o legatario un vero e proprio contratto: Tizio si accorda con Caio per lasciargli la propria eredità.
  • Dispositivi, quando un soggetto dispone dei diritti di un altro soggetto prevedendo di acquistarli per successione: Tizio vende a terzi i beni che gli dovrebbero pervenire dall’eredità del padre non ancora morto.
  • Rinunziativi, quando un soggetto rinuncia ai diritti che prevede gli saranno attribuiti dalla successione di persona non ancora morta: Caio rinuncia all’eredità della moglie non ancora morta.

Il divieto dei patti successori istitutivi è ispirato a due esigenze.
La prima è di ordine giuridico: escludere un terzo tipo di delazione, mediante contratto, accanto al testamento e alla legge.
La seconda esigenza riguarda la garanzia della libertà di testare, ossia di fare testamento. Il testamento è infatti un atto revocabile: il suo autore può eliminarlo o modificarlo. Ma se fosse in vigore un patto successorio istitutivo, questa libertà verrebbe meno, perché per revocare il testamento, sarebbe necessaria non solo la volontà del testatore, ma anche quella dell’erede futuro. Per quanto riguarda i patti successori dispositivi e rinunziativi, il legislatore ha voluto impedire che persone giovani e inesperte potessero fare degli investimenti avventati, sperperando il patrimonio che presumono di ricevere per successione.
Secondo la giurisprudenza “sono patti successori, da un lato le convenzioni aventi per oggetto una vera istituzione di erede rivestita nella forma contrattuale e dall’altro, quelle che abbiano oggetto la costituzione, trasmissione o estinzione di diritti relativi a d una successione non ancora aperta e facciano sorgere un vinculum iuris, di cui la disposizione ereditaria rappresenti l’adempimento“. Questo pronunciamento della Corte di Cassazione (19/11/2009, n. 24450) si riferisce a un caso specifico. Il de cuius, padre di tre figli, aveva trasferito ai due figli maschi, con scrittura privata, la nuda proprietà di due appezzamenti di terreno a fronte dell’impegno dei medesimi di versare alla figlia femmina una somma di denaro. Tale scrittura privata, definita dagli eredi come una transazione, secondo i giudici di legittimità è al contrario un patto successorio, ossia un vero e proprio contratto stipulato tra il padre e i figli maschi relativo a beni che sarebbero caduti in successione.

In alternativa ai patti successori

Vi sono casi nei quali chi vuole disporre dei propri beni in previsione della morte ha bisogno di strumenti diversi da quelli del testamento. Pensiamo, per esempio, a complesse situazioni patrimoniali, che hanno al loro centro imprese di grandi dimensioni, e che devono in qualche modo essere negoziate tra le parti e non possono essere affidate solo alla volontà unilaterale del disponente. Senza cadere nel divieto dei patti successori istitutivi, si tratta quindi di individuare gli strumenti negoziali con queste due caratteristiche: consentire al disponente la possibilità di revoca dell’attribuzione e permettere al beneficiario di prepararsi alla successione già durante la sua vita.

La successione nella gestione dell’impresa

In relazione alla successione generazionale nella gestione dell’impresa di famiglia, la Legge 55/06 ha introdotto la figura del patto di famiglia, per evitare la disgregazione dei beni produttivi in seguito alla successione mortis causa.
Questo patto costituisce un patto successorio ammesso e prevede quanto segue:

  • l’imprenditore può assegnare per mezzo di un atto pubblico la propria azienda a uno o più discendenti;
  • tali discendenti devono corrispondere agli altri discendenti legittimari e non assegnatari una somma non inferiore al valore delle quote previste dagli articoli 536 e seguenti del Codice Civile;
  • i discendenti legittimari e non assegnatari possono rinunciare in tutto o ni parte alle quote previste.
    La successione nell’impresa è molto importante per la tenuta di un sistema economico come il nostro, basato su un regime di libera concorrenza tra imprese che, solo se poste in grado di durare nel tempo, sopravvivendo alla morte del loro titolare e dei soci, possono stimolare la crescita del mercato.

Le attribuzioni a carattere mantenitorio o assistenziale

Oltre allo sviluppo aziendale, un’altra esigenza meritevole di tutela riguarda le attribuzioni a carattere mantenitorio o assistenziale: in questi casi il Codice Civile(art.692) offre solamente lo strumento della sostituzione fedecommisaria, che si verifica quando nel testamento, il testatore impone all’erede l’obbligo di conservare i beni in modo che alla sua morte tali beni possano passare in modo automatico ad altra persona (sostituito) indicata dallo stesso testatore. Questa norma però prende in considerazione solo i soggetti deboli, incapaci di provvedere ai propri interessi (interdetti), ma non è in grado di soddisfare i bisogni dei soggetti portatori di handicap. In quest’ultimo caso è possibile il solo ricorso a strumenti negoziali alternativi al testamento.

Altri casi

La giurisprudenza in materia negli ultimi anni è esigua. Sono stati indicati alcuni criteri di carattere generale per distinguere le ipotesi lecite da quelle illecite (ossia quelle che violano li divieto di patti successori). Alcune pronunce in materia societaria hanno in qualche modo limitato la portata del divieto, mentre in alcune questioni di diritto civile si è ribadita l’applicabilità dell’art. 458 del Codice Civile. Si tratta quindi di un argomento controverso. Di seguito vi indichiamo le ipotesi più frequenti, i cui contorni devono essere esaminati con cautela, dal momento che si tratta di istituti prossimi all’invalidità.

  • La donazione modale con adempimento dell’onere dopo la morte del donante: Tale donazione distingue tra effetti preliminari ed effetto finale: l’effetto finale è differito alla morte del donante, ma gli effetti preliminari si manifestano subito. Il donatario ha da subito il diritto di “aspettativa” ossia un diritto soggettivo, grazie al quale può compiere atti conservativi e disporre i beni donati. Il donante, invece, perde la possibilità di disporre di tali beni. Si ritiene ammessa dalla giurisprudenza in quanto negozio inter vivos e non mortis causa.
  • l’assicurazione sulla vita a favore di un terzo: Questa assicurazione è ammessa ai sensi dell’art. 1920 del Codice Civile. In questo caso li beneficiario, ossia colui che avrà diritto alla prestazione dell’assicurazione al verificarsi dell’evento, è una persona diversa dall’assicurato. Perché un caso di questo genere è ammesso? Perché il diritto di cui godono i beneficiari ha origine dal contratto di assicurazione (secondo la Sentenza n. 4484/96 della Cassazione Civile). Non si rinviene quindi la connotazione del negozio mortis causa.
  • Il contratto a favore di terzo con prestazione da eseguirsi dopo la morte dello stipulante: È ammesso in base all’art. 1412 del Codice Civile. Il terzo che riceve la prestazione non è parte del contratto e deve limitarsi a ricevere gli effetti di un rapporto già validamente costituito e completamente operante. Se il terzo muore prima dello stipulante, gli eredi del primo hanno diritto alla prestazione, purché il beneficio non sia stato revocato o lo stipulante non abbia disposto diversamente (secondo la Sentenza n. 8353/90 della Corte di Cassazione). Secondo la dottrina e la giurisprudenza tale contratto non è un atto mortis causa, poiché la morte non è causa dell’acquisto del diritto del terzo, ma è solo il momento a partire dal quale tale acquisto, già avvenuto al momento della conclusione del contrato, diverrà efficace. Perciò tale nomo non deroga al diritto dei patti successori.
  • La vendita di cosa altrui: È priva di valore e viola il divieto dei patti sucessori solo quando i contraenti sono giunti stipulare al vendita di cosa altrui in considerazione del suo oggetto come parte di una futura eredità.
  • Il mandato post mortem: In prima battuta sembra inammissibile. L’art 1722, n. 4 del Codice Civile disciplina le cause di esclusione del mandato: il mandato si estingue per morte, interdizione, inabilitazione del mandante e del mandatario. Inoltre il mandato post mortem si trova a fare i conti anche con il divieto dei patti successori sulla base dell’ art. 458 del Codice Civile. Ma il contratto post mortem è un’esigenza molto sentita, che risponde al modo contemporaneo di gestire i propri interessi dopo al morte, in particolare non patrimoniali. Per questo dottrina e giurisprudenza hanno distinto mandati post morte leciti e illeciti. Per esempio, i mandati a causa di morte con funzione di attribuire diritti patrimoniali a causa della morte, sono nulli perché violano sia l’art. 1722, n. 4, del Codice Civile sia l’art. 458 del Codice Civile. Sono invece validi i negozi giuridici che non distribuiscono il patrimonio, ma impegnano il mandatario a compiere operazioni materiali. La dottrina parla di mandato post mortem exequendum (cioè “da eseguire dopo la morte”): per esempio, l’organizzazione del funerale o la divulgazione a terzi di notizie personali.
  • Il trust: È stato introdotto nel nostro ordinamento con la Legge 364/89 di ratifica della Convenzione dell’Aja del 1/07/85. Tale figura giuridica coinvolge tre soggetti: il costituente, il trustee e il beneficiario. Il costituente conferisce in trust taluni beni facenti parte del proprio patrimonio, ossia li pone sotto il controllo del trustee e si priva del potere di godere e di disporre di tali beni per tutta la durata del trust. Il trustee è il soggetto cui è conferito il potere di amministrare tali beni e di gestirli, secondo le istruzioni ricevute dal costituente e in vista dello scopo da questi stabilito. Al trustee non è consentito utilizzare tali beni nell’interesse proprio, ma egli può farne uso solo per realizzare l’interesse del beneficiario o conseguire lo scopo del trust. Il beneficiario è il soggetto nel cui interesse i beni vengono gestiti e al cui patrimonio sono destinati i risultati di tale gestione. I beni del trust rimangono distinti dal patrimonio del trustee. I creditori personali del trustee non possono aggredirei beni oggetto del trust. Tali beni non entrano a far parte dell’insieme dei beni ereditabili e di conseguenza non possono essere acquistati dai successori a causa di morte del trustee.
Privacy Policy Cookie Policy